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Quei paperi venuti da lontano...
di Francesco "Nutella" Palagiano


Cap. I Cap. II Cap. III Cap. IV Cap. V Cap. VI Cap. VII Cap. VIII Cap. IX Cap. X Cap. XI

CAP. I - Cronache dal passato

America Centrale, più o meno 65 milioni di anni fa...
Bestioni primordiali brucano o cacciano allegramente, senza la minima idea della sciagura che sta per segnare in modo irrevocabile il loro destino di dominatori della Terra. All’improvviso un sibilo sommesso, poi un fischio lacerante che costringe tutti gli esseri del pianeta a guardare verso il cielo, ed infine il pauroso schianto: milioni di metri cubi di terra lanciati in aria, un cratere del diametro di 280 chilometri, il cielo oscurato dalle polveri e dalla pioggia acida che si riversa come una cascata sulle carcasse delle vittime dell’esplosione e dell’onda d’urto, il fuoco che divora porzioni immani di foresta primordiale. Il silenzio. È la fine dei dinosauri.
Intanto, a circa quarantamila chilometri di altezza, in orbita intorno alla Terra, un incrociatore evroniano fa rapporto al Consiglio Imperiale: «Qui astroincrociatore Zaadrosh, riportiamo lancio avvenuto senza alcun problema. Pensiamo che l’esper...ZZZ....o sa...SBFFFZZ... Ma insomma Zimes, che diavolo succede?»
«Generale Zanderall, una fortissima tempesta elettromagnetica generata dalle polveri in veloce rotazione nel campo magnetico terrestre in seguito all’impatto dell’asteroide sta bloccando tutte le comunicazioni in partenza e in arrivo!»
«Allora portaci in zona di trasmissione, lontano da questo sasso nell’Universo ("Che in più mi dà un certo senso di inquietudine" aggiunse solo mentalmente)»
«Agli ordini sign...»
SBRANG! - UAH UAH UAH UAH
«E ora che succede!? Perché l’allarme rosso? Cos’era quel boato?»
«Un meteorite ci ha colpiti sul ponte 13... dannazione! la sala motori col contenimento antimateria... perdiamo energia... avaria al supporto vitale... ponti dal 7 al 23 seriamente danneggiati... perdiamo la pressurizzazione... trenta secondi al collasso del nucleo principale del motore... cedimento strutturale dello scafo in corso... +126% della Forza di Ziggyr nelle camere di compressione!»
«A tutto l’equipaggio! Abbandonare la nave! Abband...»
BOOAMMMM!
Dalla Terra, sotto quel cielo di piombo, nessuno vide, per il breve istante di un sospiro, l’accendersi nel cosmo di una nuova stellina...

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CAP. II - Un ritorno dal passato

Messico, più o meno 5 cinque giorni fa...
«Professor Fairfax, Professor Fairfax» gridò concitato Gonzales «Ci siamo! Ci siamo! Finalmente l’esperimento ha dato i frutti sperati! Con una sola piccola carica siamo riusciti a creare una frattura abbastanza profonda nella litosfera. Un momento... sì... ecco i dati! + 1,3% rispetto alla scorsa trivellazione! Siamo esattamente a 48,7 chilometri sotto la superficie!»
«Calma, Gonzales, calma!» ribatte Fairfax, asciutto, come se la notizia (che in realtà sognava di sentire da una vita) non lo sfiorasse minimamente.
«Ma come calma, Professore! Siamo arrivati dove lei vol...»
«Ti ripeto calma!!! Già in passato ho capito a mie spese che è proprio nel momento in cui si è più vicini alla meta che le cose cominciano ad andare storte! ("Maledetto PK!" pensò, volgendo istintivamente gli occhi verso Paperopoli, o meglio, verso la sua direzione) E comunque c’è ancora parecchio lavoro da fare! Fammi vedere i dati. Dunque: roccia granitica intrusiva, basalto, calcare in piccole quantità, pirite... mi sembra tutto normale... forse è un altro buco nell’ac... NO! Un momento! sì, Sì! SÌ!!! Eccola qui! Regolite in quantità abnormi, addirittura è il 16% del costituente di questo livello! L’ho trovato! L’ho trovato! L’asteroide che estinse i dinosauri! È qui! È QUI!!! Ora finalmente potrò vendicarmi di PK e del mondo intero». Una luce sinistra balenò negli occhi del Professore mentre pronunciava quelle parole...
«Professore, Professore! Venga qui, presto»
«Come al solito Edmundo è troppo ansioso» pensò Fairfax.
«Cosa vuoi?» chiese.
«Presto Professore, venga! C’è qualcosa di strano...»
In quel momento il cielo, fino ad allora terso come un cristallo, si rannuvolò improvvisamente, e tonnellate d’acqua si riversarono come un fiume in piena sulla piccola spedizione clandestina.
"Avrei dovuto dare più ascolto allo Sciamano!" fu il fugace pensiero del Professore, che subito lo liquidò come il naturale senso di sconforto dei terrestri di fronte alla pioggia. La pioggia! Chissà poi perché metteva tanto a disagio gli esseri umani... Forse era dovuto al fatto che... "Ma ora basta, c’è del lavoro da sbrigare" si costrinse a concentrarsi sull’ultima, e forse la più incredibile, scoperta.
Un tubo di metallo (dal colore si sarebbe detto oro, dal peso titanio, in ogni modo sconosciuto sulla Terra), con una estremità saldata e l’altra aperta ("In tutto poco più grande di un cucciolo di puma" osservò Gonzales), su cui erano incisi strani caratteri.
«Un contenitore!» esclamò Virgil, l’assistente di Fairfax dopo il fattaccio ("Maledetto PK") di Paperopoli.
«Senza dubbio.» concordò Edmundo.
«Due geni!» convenne Fairfax.
Il conciliabolo dei quattro era troppo assorto nella discussione per accorgersi che, nel frattempo, tutti i portatori e le guide erano fuggite, mentre alle loro spalle si profilava, minacciosa, un’ombra alquanto inquietante.
Il rumore della pioggia e dei tuoni nascose le grida di terrore degli sventurati, mentre i fulmini fotografavano nell’oscurità della notte scene da inferno dantesco.
Tre di loro non ebbero scampo, ma Fairfax fu rinvenuto da una spedizione scientifica sulle tracce della farfalla dalle code d’argento, mentre girovagava per la giungla, con uno strano tubo stretto in mano.
L’unica cosa che fu in grado di dire ai suoi soccorritori fu: «Sono tornati! Sono tornati!».

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CAP. III - Indovina chi c’è per cena?

Paperopoli, oggi...
«Allora, vecchio mantello! Pronto per un’altra eccitantissima notte di ronda?» canzonò allegramente Uno.
«Decisamente no...» biascicò sfinito Paperino. A pensarci bene quella era la degna conclusione di una giornata cominciata male e continuata peggio. Cos’altro avrebbe potuto ancora capitargli?
Aveva passato tutta la mattinata a convincere Paperone a lasciargli un permesso di tre giorni per andare dai nipotini in Messico, che gli avevano chiesto di presenziare alla loro premiazione per essere stati i primi a catturare un esemplare vivente di "Papilio argentea" (o farfalla dalle code d’argento). Ma più di tutto lo stuzzicava la notizia riguardane il ritrovamento, da parte della medesima spedizione delle GM, «di un certo Professor Fairfax. Un tipo tutto sballato zio! Dovresti vederlo!». "E lo farò Quo, puoi giurarci!" si disse tra sé e sé Paperino. Poi, nel pomeriggio, aveva dovuto spostare per circa dieci volte l’intero schedario di Angus (circa un quintale e mezzo di scartoffie e volantini di ristoranti, tutti peraltro di dubbia reputazione), il quale non sapeva quale fosse l’angolo della redazione dove la luce giungesse con maggior vigore, e anche lui in partenza per il Messico ("Telepatia o semplice iella?" - si disse il nostro papero).
Infine, Paperina aveva deciso di accordare a Gastone l’onore di accompagnarla a teatro per il prossimo imprecisato numero di serate, visto che «ti diverti di più a fare il guardiano di una stamberga che assolvere ai tuoi doveri di cavaliere!». Inutile dire che qualsiasi scusa era stata eliminata come «Già sentita!» o «Cercane una migliore!»
Fortunatamente, però, contro ogni più pessimistica previsione la nottata scivolò via tranquillamente.
«Meglio così, domani mattina sarò più fresco quando prenderò l’aereo». Eppure uno strano senso di disagio lo perseguitava. Erano ormai due notti, anzi tre (contando anche quell’ultima), che non si avevano notizie da evroniani, razziatori, e marmaglia varia. Nemmeno Uno aveva registrato movimenti sospetti. A parte in America Centrale, dove sembrava ci fosse un raduno internazionale per la colonizzazione della foresta dello Yucatàn. Possibile che lì ci fosse qualcosa che attirasse l’attenzione dei più ma sfuggisse agli attenti sensori di Uno? Un motivo in più per andare ad investigare, ma stavolta in "veste anonima", coinvolgendo cioè il meno possibile l’ingombrante figura di PK. Era ancora impegnato in questi suoi pensieri quando una voce metallica risuonò con forza all’interno della Pikar: «Capisco che la lontananza di Xadhoom ti addolori, ma cerca di tornare tra noi povere intelligenze artificiali!»
«Come? Ah, sì. Scusa, Uno. Ero immerso nei miei pensieri... Dicevi?»
«Ho detto: capisco che la lontananza di Xadhoom ti addolori, ma...»
«No, amico. Stavolta sei fuori strada! Lei non c’entra niente. Pensavo ai miei nipotini, che finalmente avrò l’occasione di rivedere dopo più di un anno!»
«Ah! La famiglia. Gran cosa!» fece Uno; e se fosse stato umano, si sarebbe detto che c’era dell’invidia mista a tristezza nella sua voce.
A PK questa sfumatura non sfuggì, e svelto aggiunse: «Comunque anche le serate con te non sono poi tanto male!»
«Umphf!» replicò Uno «Sei il solito ruffiano!» e aggiunse, in modo che Paperinik non potesse udirlo «Grazie, vecchio mantello»
Il giorno dopo, di buon’ora, Paperino si alzò ("Strano, stamattina, nonostante l’abbia chiamato più volte, Uno non si è fatto vivo. Che sia offeso per qualcosa?" - si ritrovò a pensare), fece una colazione robusta (forse troppo, visto che la lasciò quasi tutta nei sacchetti d’emergenza dell’aereo) e si avviò all’aeroporto.
Circa sette ore di volo (e tre scali) dopo, raggiunse la sicurezza dell’aeroporto di Città del Messico da dove, con un bus alquanto sgangherato, raggiunse la sua destinazione in altre quindici ore di viaggio. "La prossima volta userò l’AirUno" pensò.
Arrivò a Campeche, affacciata sulla baia omonima, che erano le prime luci dell’alba. Con qualche difficoltà di comprensione, si fece indirizzare verso l’hotel più vicino, da dove, dopo una robusta dormita di ventiquattr’ore, si sarebbe avviato verso Champóton, sua meta finale.
Mentre parlava con l’albergatore, l’aveva visto sbracciarsi ed atteggiarsi in quelli che lui considerò essere dei gesti scaramantici, e gli parve di capire qualcosa a proposito di uomini-tartaruga o uomini-lucertola (non era ben sicuro quali dei due), ma non gli diede molta importanza, visto che quei luoghi erano pieni di miti e leggende.
Dopo il sostanzioso riposo si avviò verso Champóton con un lama preso in affitto e delle carte, a dire il vero molto approssimative, comprate all’albergo stesso. Fu costretto a ricorrere a quelle visto che nessuno in paese volle fargli da guida, ma ritenne che ciò fosse dovuto alla misera somma offerta in cambio del servizio, visto lo scarso budget di cui disponeva.
Sul dorso di quell’animale passò le dodici ore peggiori della sua vita, tra zanzare, mosche ed ogni altro insetto volante richiamato dal fetore del pelo del lama.
Una volta arrivato, fu accolto dai suoi nipotini, e la stanchezza e il disagio del viaggio sparirono in un sol colpo. I tre paperini accompagnarono lo zio nella sua tenda e, dopo averlo rifocillato, cominciarono a tempestarlo di domande sullo Zione, sugli altri parenti, sul suo lavoro, su come era andato il viaggio e su altri mille argomenti. Quindi parlarono con entusiasmo del premio ricevuto e raccontarono (colorendolo come solo i ragazzi riescono a fare) di quel che era accaduto durante la loro spedizione.
Finalmente arrivarono al punto in cui le loro strade si incrociavano con quelle di Fairfax, ma aggiunsero anche che, nelle ultime notti, si erano verificate strane sparizioni degli abitanti del villaggio, e che alcuni volontari, durante i turni di guardia istituiti per la notte, avevano dichiarato di aver viso degli strani oggetti volare nel cielo, troppo piccoli però per essere aerei e che sorprendentemente non emettevano alcun rumore, se non un ronzio dimesso. I nipotini continuavano nella loro dissertazione, ma nel frattempo sulla bocca di Paperino il sorriso era morto ed aveva lasciato il posto prima ad una reazione di sorpresa, poi ad una espressione accigliata. "Dischi individuali evroniani!" pensò "Ecco dunque dove si erano cacciati! Ma cosa ci fanno qui? Cosa stanno cercando? Cosa sanno che io non conosco ancora?".
L’attenzione di Paperino fu richiamata quando Qua cominciò a raccontare di strane orme ritrovate nella foresta e che, secondo le leggende locali, sarebbero appartenute a dei fantomatici uomini-lucertola, forse gli stessi che Fairfax, nel suo delirio, aveva dichiarato di aver visto.
Quindi si salutarono e i nipotini uscirono lasciando che lo Zio si riavesse dallo sforzo per il lungo viaggio. Ma Paperino non aveva tempo di riposare, non ancora. Calata la notte, PK uscì dalla sua tenda, avendo premura di non farsi vedere e avendo messo al posto di Paperino un pupazzo russante, e si diresse verso la tenda-ospedale per fare quattro chiacchiere con il Professor Morgan Fairfax. Ma giunto nei pressi della tenda ebbe la prima brutta sorpresa: il dottore era già nelle mani (e microfoni) di Angus Fangus! "Che faccio, lo polverizzo? Lo disintegro? Lo..." non fece in tempo a terminare il suo pensiero che un rumore di rametti spezzati alle sue spalle lo fece girare di scatto e fu allora che... il panico si impadronì di lui!!! Neanche di fronte a Trauma, pur con tutti i poteri di quest’ultimo, aveva provato una sensazione simile. Un terrore talmente radicato nell’inconscio, una paura ancestrale di tali proporzioni che lo ammutolirono. I suoi occhi si riempirono di orrore, e, se non avesse perso i sensi in seguito al colpo ricevuto in testa, sarebbe sicuramente scoppiato in lacrime come un bambino, perdendo completamente il senno.
L’ultima immagine rimasta ben nitida nella testa di PK fu quella di un essere, simile ad una lucertola, che si reggeva su due zampe, alto circa due metri e mezzo, con la pelle squamata, artigli alle estremità delle dita e zanne al posto dei denti di incalcolabile lunghezza. Ma, paradossalmente, la cosa che più incuteva terrore era la coda, lunga quasi quanto era alto quell’essere, alla cui fine sporgevano degli aculei. Aveva detto una sola cosa: «Siamo tornati...".

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CAP. IV - Sulla natura dell’esistenza dei paperi

Quando i raggi del primo sole fecero capolino nella tenda di Paperino e accarezzarono il pupazzo, il materiale densomorfico di cui questo è composto lo trasformarono in una valigetta da viaggio. I tre nipotini, entrati a svegliare lo Zio e non trovandolo, pensarono fosse già uscito per fare colazione. Cominciarono a preoccuparsi quando nessuno disse di averlo visto in giro, e la preoccupazione divenne panico quando il berretto di Paperino fu ritrovato nei pressi della tenda-ospedale. Un’altra strana sparizione? Non c’era tempo da perdere in congetture, e le tre GM si misero subito sulle tracce dello Zio scomparso.
«BZZZZ...PK...BZZZZ...Ehi, vecchio mantello, sei tutto intero?»
«Chi? Come...!? UNO?!? Dove sei?»
«Qui, nella cintura! Prendi la sferetta che trovi sulla sinistra.»
«E questo scomparto da quando esiste?»
«Ohh, che domande! Non sai forse che sono anche un ottimo sarto? Comunque, questa sfera è un’interfaccia che ci permetterà di restare in costante contatto l’ho studiato apposta per i casi in cui girassi senza lo scudo o uno dei congegni di padron Ducklair provvisti di radio.»
«E si può sapere perché me lo dici solo adesso?»
«Scusami, ma vedi... quando ho scoperto che andavi in Messico senza dirmi nulla... beh! ho pensato che tu non mi volessi tra i piedi, e mi sono offeso. Poi ho deciso di venire lo stesso. Così, mentre tu dormivi, ho effettuato delle modifiche alla tua cintura e ho costruito questo, diciamo, gadget.»
«Ma no, Uno. Cosa vai a pensare! Io non ti vol... SSHHH! Aspetta! Dei rumori. Stacca il collegamento, per ora. Ci risentiamo più tardi. D’accordo?»
«Ricevuto. Chiudo!»
Fino a quel momento PK non aveva fatto caso alla cella in cui si trovava: niente finestre, porte o aperture apparenti; solo solida roccia in ogni angolo in cui si dirigesse lo sguardo. A luce era assicurata da uno strano materiale fosforescente di cui era impregnato il soffitto. PK stesso era seduto su uno scanno di pietra (granito?, no, a giudicare dalla compattezza e dall’aspetto si direbbe basalto). Non aveva catene o costrizioni di sorta legati al corpo. Del resto, come fuggire da quella prigione? Poi però si accorse di avere ancora il suo fido disgregatore nella cintura. Un imperdonabile errore o troppa spocchia del nemico? In ogni caso estrasse la pistola a raggi, la puntò in una direzione qualsiasi, premette il grilletto e... il niente più assoluto. Guardò il livello di carica. Era al massimo. Ma allora che cavolo... In quel momento, dove un secondo prima c’era una tonnellata di roccia, si produsse repentinamente un’apertura ed una figura simile a quella di (quanto?) prima, ma stranamente più rassicurante, fece il suo ingresso e disse, con una voce del tutto inadatta al suo aspetto grottesco e imponente: «La tua arma qui è assolutamente inutile. C’è uno schermo di energia invisibile che ti circonda che rileva le tue intenzioni ostili e automaticamente impedisce ogni azione atta a danneggiarci. Ti prego, ora, seguimi.»
PK era incredulo: possibile che l’essere che aveva di fronte fosse della stessa specie di quello che solo la notte prima l’aveva così selvaggiamente aggredito? E ancora di più: come mai ora non temeva più quelle strane e orribili creature?
«Il perché è molto semplice» esordì d’un tratto l’uomo (o donna?) lucertola parlando nella sua testa e senza aprir bocca, lasciando ancor più perplesso il povero Paperinik «Durante il tuo sonno ("Sì, proprio una bella dormita!" pensò PK strofinandosi il bernoccolo ancora visibile) ti abbiamo iniettato un composto che combatte i neuroattivatori dell’emozione che voi chiamate... com’è quella strana parola che avete? Ah, sì! Paura.»
PK, sempre più frastornato, stava per aprir becco, ma, prima che una sola sillaba fosse udibile, l’essere rispose alla domanda, sempre senza profferir parola: «Non devi meravigliarti. Vedi, noi abbiamo sviluppato una sorta di telepatia, che però è efficace solo in ambienti ristretti, come i luoghi chiusi, e se ci concentriamo su un solo individuo alla volta. Così facendo però consumiamo molta energia, e ciò non è un bene. Quindi, con il tuo permesso, preferirei usare la comunicazione verbale normale.»
«Prego, prego!» disse zelante Paperinik. Non che gli dispiacesse il fatto di aver risposte senza fare domande, ma dopo tanto tempo passato in mezzo a gente che come unica fonte di comunicazione usa il rumore, quel silenzio stava diventando assordante! Eh, sì. Certe abitudini sono dure a morire.
Giunti di fronte ad un enorme arco decorato scavato nella pietra, come del resto gli pareva fosse tutta quella (prigione?) costruzione, la creatura si fermò e si inchinò rispettosamente, invitando PK a procedere da solo.
Entrò così in un’ampia sala, la cui sobrietà contrastava nettamente con l’ampio e superbo portone decorato da scene apocalittiche di lotte e distruzioni, al cui centro si trovava un trono, sempre di roccia, su cui sedeva un individuo ben diverso dai due precedentemente incontrati.
«Un evroniano!» esclamò mentre cercava la sua pistola. Poi, ricordandosi l’avvertimento della donna-lucertola (doveva certamente essere una femmina, visti i suoi modi gentili e il portamento altezzoso), lasciò perdere e le braccia gli caddero lungo i fianchi. Era lì, in mezzo a non si sa cosa, tra esseri mostruosi e davanti ad un generale evroniano con tanto di Evrongun, e senza alcuna possibilità di difesa. Per un solo fugace istante rimpianse il suo lavoro alla Ducklair Tower.
«E così ho l’onore di parlare con il famoso Paperinik, o posso chiamarti PK?»
«Chiamami come ti pare, tanto non ha più importanza.»
«Che delusione! Credevo che colui che tanti guai ha arrecato ai guerrieri di Evron fosse molto più risoluto e combattivo! Ma, si sa, la disfatta demolisce anche gli animi più bellicosi.»
"Non è affatto così," disse tra sé PK "sto solo prendendo tempo.". E mentre lo pensava, sperò che i poteri degli uomini-lucertola non si fossero in qualche modo trasmessi anche all’evroniano. A giudicare dalla prolissità con cui parlò, capì che era andata bene.
«Lascia che ti racconti una storia.» continuò il generale «Vedi, quello attuale non è l’unico tempo in cui veniamo a farvi visita. Per l’esattezza questa è la terza volta. Circa 65 milioni di anni fa, l’astroincursore Zaadrosh fu inviato su questo pianeta per un esperimento di importanza vitale per il glorioso impero di Evron. Un esperimento che, se riuscito, avrebbe permesso al mio popolo di avere una quantità pressoché inesauribile di energia emozionale. L’esperimento prevedeva il rilascio di un vettore che avrebbe sparso nell’atmosfera del vostro pianetucolo di una sostanza particolare, l’E-RNA, che avrebbe accelerato l’evoluzione delle specie inferiori presenti sulla Terra. C’era però un piccolo problema: le condizioni atmosferiche e climatiche non erano delle migliori per il vettore, e questo, con tutto il suo carico, sarebbe deperito rapidamente. Per stabilizzare le condizioni, si decise di far precipitare sulla Terra un meteorite abbastanza grande da creare un cataclisma che avrebbe portato atmosfera e clima nelle condizioni favorevoli al vettore. Purtroppo, però, uno sciame meteoritico seguì il grosso asteroide prelevato dalla cintura di Oort, ed uno dei meteoriti più grandi, che cadendo sul vostro pianeta si sarebbe tranquillamente dissolto nell’atmosfera, incrociò l’orbita della nostra nave. Un insignificante errore di calcolo ci costò un astroincursore e tremila dei nostri più valorosi soldati!»
«Dunque anche il grande popolo di Evron sbaglia!» fece sarcastico Paperinik mentre, con le mani ben nascoste nel mantello, trafficava con la sferetta di Uno.
«Non fare lo spiritoso, tra un po’ non avrai tanta voglia di ridere! Lascia comunque che continui... Dicevo: il meteorite provocò gli effetti sperati, e il vettore, lanciato sulle stesse coordinate del punto d’impatto dell’asteroide, nella sua discesa attraverso l’atmosfera terrestre rilasciò il suo carico, che attecchì come sperato sulle forme di vita presenti sul pianeta. Calibrammo l’E-RNA sulla specie più affine, dal punto di vista emozionale, a quello che per noi è lo standard ottimale, e vennero così fuori i terrestri. Voi siete una nostra creazione!»
«Su questo sbagli, poiché anche se avete accelerato la nostra evoluzione, saremmo diventati lo stesso ciò che siamo, anche senza il vostro intervento e se in tempi più lunghi!»
«No! Sbagli tu, piccolo, inutile papero! Senza il nostro vettore che ha privilegiato la vostra specie e senza il meteorite che "sparammo" sul vostro pianeta, oggi sarebbero loro (e, dicendo questo, indicò la creatura che aveva accompagnato Paperinik e che sostava, sempre inchinata, appena fuori dall’arco) i padroni della Terra, non voi!»
Un certo disagio invase la mente di PK al pensiero di lucertoloni alti due volte un terrestre che si aggirano per le vie di Paperopoli alla ricerca di una vittima da ingurgitare.
«Vedo che la prospettiva non ti alletta, vero?»
PK si riebbe e disse: «Ma i dinosauri non erano scomparsi?»
«Non del tutto. I vostri patetici paleontologi non hanno mai ritrovato i reperti più preziosi, che avrebbero dato una svolta alle indagini sulla fine dei dinosauri. Fine, peraltro, mai avvenuta, in quanto, come anche tu hai avuto modo di vedere, sono tutt’oggi qui, vivi e vegeti. Quei reperti avrebbero testimoniato che una parte dei dinosauri stava specializzandosi per la vita nelle caverne del sottosuolo. E furono proprio quelli i dinosauri che, evolvendosi per milioni di anni nei cunicoli sotterranei, lontani dalla luce del sole, io ho qui ritrovato e ho deciso di organizzare per avere la loro, e la mia, vendetta!»
«Vendetta? E verso chi?»
«Verso Evron!»
«Cosa?»
«Lascia che mi presenti. Il mio nome è Zargon, ed ero un generale di Evron abbastanza inviso, però, al Consiglio Imperiale per i miei successi e, soprattutto, per la voglia di fare di testa mia. Abbandonato dal mio popolo dopo uno scontro con la Xerbiana di nome Xadhoom su questo insulso pianeta, ho trovato nuova voglia di vivere quando mi sono imbattuto in questi esseri, e ho trovato in loro dei guerrieri perfetti contro le armate di Evron. I loro poteri telepatici li rendono infatti immuni dalle Evrongun e la loro forza sovrumana gli permette di tener facilmente testa ai nostri reparti speciali più addestrati. C’era un unico problema. Nonostante il loro aspetto, queste creature sono pacifiche, tranne qualche elemento che ho provveduto a nominare generali del mio esercito personale, ed in più non erano tecnologicamente avanzate al punto da poter competere con le forze terrestri, figuriamoci con quelle evroniane! Ma il mio avvento ha cambiato le carte in tavola. Io gli ho fornito le conoscenze e la tecnologia (gentilmente offerta dalle fabbriche di voi terrestri) necessarie per la costruzione di Evrongun modificate e di dischi individuali, e presto saremo pronti per la nostra vendetta!»
«Ma perché loro dovrebbero seguirti?»
«Per due motivi: il primo è che anche loro odiano Evron per averli cacciati a vivere nell’ombra e averli privati del dominio sulla superficie, il secondo è che io gli ho fornito la possibilità di attuare i loro propositi di rivalsa.»
«E perché non avete ancora proceduto alla conquista della Terra?»
«Beh, ti ho detto che questo pianeta, come nessun altro, è stato oggetto di ripetute visita da parte nostra. Oltre la prima, di cui ti ho ampiamente parlato, e la seconda, avvenuta all’incirca 20.000 anni fa e che aveva solo il compito di stabilire il livello emozionale raggiunto dagli abitanti del pianeta di allora, e che risultò peraltro scarso, la più importante, ai fini del dominio dell’Universo, è questa, la terza! Non crederete mica di esservi tanto evoluti rispetto a 20.000 anni fa dal punto di vista dell’energia emozionale, vero? I prelievi che facciamo su di voi sono casuali e dovuti più che altro alla nostra sussistenza piuttosto che alla nostra espansione. Il vero motivo per cui siamo qui è un altro: il vettore.»
«Il tubo che ha trovato Fairfax!»
«Esattamente quello! Una tempesta magnetica bloccò le comunicazioni dello Zaadrosh, e noi non sapemmo mai se il vettore aveva toccato il suolo oppure no, portando a termine la missione. Inoltre tutto lo staff scientifico che aveva seguito la progettazione del vettore e dell’E-RNA si trovava a bordo di quella nave, insieme con tutti i dati sulla ricerca. L’esplosione dell’astroincursore cancellò in un sol colpo anni di studi, e gli scienziati che seguirono non furono più in grado i ricreare quella tecnologia. Dopo qualche tempo le ricerche nel campo dell’accelerazione evolutiva vennero del tutto abbandonate. Oggi quel vettore, che contiene ancora residui dell’E-RNA la cui vita media, in condizioni ideali, si aggira sui due miliardi di anni, messo nelle mani giuste è la chiave per la conquista dell’intero Universo. E quella chiave sarà mia!»
«È per questo che Fairfax e suoi furono aggrediti?»
«Già. Lo sorvegliavamo e dovevamo recuperare a tutti i costi il vettore, ma un soldato troppo "zelante" si è fatto scoprire troppo presto e ha dato modo a Fairfax di fuggire. E purtroppo ora il vettore è sparito, e nessuno sa dove è finito.»
«Quindi ora è tutto finito per voi» e mentre diceva questo pensò "Ci sono!".
«Non proprio. Il vettore è composto di un metallo particolare che non esiste sul vostro pianeta. Basterà seguire le tracce del suo schema di emissione, visto che è radioattivo anche se non è pericoloso per le specie del pianeta Terra, e il gioco è fatto. E la cosa più bella è che tu non ci sarai per fermarmi! Guardie! Rendetelo inoffensivo. Per sempre!»
«Non ci spererei troppo, fossi in te!»
E in quell’istante la Pikar fece irruzione nella sala, scavandosi la strada attraverso la roccia grazie ad un infusore laser (uno dei tanti giochini di Ducklair), prendendo a bordo PK e fuggendo attraverso il tunnel d’entrata.
«Grazie Uno, tempestivo come al solito!»
«Prego Socio!»
«Hai registrato tutto?»
«Certo! A proposito, l’idea di tamburellare sulla sfera in codice morse le istruzioni che dovevo eseguire è stata a dir poco geniale... Degna di un’intelligenza artificiale del mio calibro, o quasi!»
«Siamo in vena di complimenti eh? Comunque, per adesso, fammi tornare al campo, non voglio far preoccupare oltre i nipotini. Anzi, già che ci sono devo pensare ad una scusa plausibile per la mia assenza. Tu, intanto, tieni d’occhio i movimenti di Zargon e dei suoi amichetti. C’è un nuovo giocatore in campo, e sicuramente è molto pericoloso. Io, nel frattempo, cercherò di sapere il più possibile da Fairfax.»
Mentre la Pikar puntava verso Champóton dando le spalle al tramonto, una voce risuonava nella testa di PK: "Siamo tornati...".

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CAP. V - Dov’è?

Mentre PK viveva la sua piccola disavventura, a qualche migliaio di chilometri di distanza sulle nostre teste...
«Completata manovra di entrata in orbita geostazionaria. Spegnimento motore principale in corso... motore principale spento. Attivazione smorzatori inerziali in corso... smorzatori inerziali attivati. Attivazione schermatura antiradar in corso... schermatura antiradar attivata. Inizializzazione sistemi di rilevamento in corso... sistemi di rilevamento in funzione... scansione in corso. Tutti i cicli sono stati portati a termine correttamente. Il computer sta già raccogliendo informazioni sul vettore. Dovremmo riuscire a trovarlo entro breve tempo, Capo-branca Gorthan.»
«Bene bene. Si dia inizio alle danze allora, come dicono i terrestri!».

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CAP. VI - È qui?

Paperino fece il suo ingresso a Champóton che il sole era già alto nel cielo, e subito fu investito dalle grida di gioia dei nipotini e della gente del villaggio.
«Pensavamo fossi stato rapito!» esordì Quo.
«Ormai non sapevamo più che fare. Le nostre ricerche non hanno dato frutti e ti credevamo chissà dove!» fece eco Qui.
«Zio! Zio! Dove sei stato? Che ti è successo?» piagnucolò Qua.
«Calma ragazzi, calma!» li tranquillizzò Paperino «mi dispiace che una mia imprudenza vi abbia fatto preoccupare così tanto, ma sto bene.»
«Ecco il tuo berretto, Zio.» fece Qui.
«Grazie, deve essermi caduto quando ho inciampato nei rami vicino alla tenda.»
«Ma insomma» dissero all’unisono «dove ti eri cacciato? Sono due giorni che manchi!»
"Così tanto!?!" pensò. «Vedete, non riuscivo a prendere sonno, e così ne ho approfittato per fare una passeggiata. Ma per l’oscurità mi sono perso nella giungla e mi sono dovuto rifugiare in una caverna per passare la notte. Poiché nella grotta era molto buio, sono scivolato e ho battuto la testa (e dicendo questo indicò il bernoccolo). Mi sono riavuto solo stamattina, e pensate come mi sono sentito quando ho visto che la grotta era solo a pochi metri da qui!»
«La caverna di Puncas» disse Qua.
«Già!» confermò Qui.
«È a soli cento metri da qui.» annuì Quo con aria severa.
«E voi non mi avete trovato?» disse sorridente lo Zio.
I tre paperini arrossirono. «Scusaci, Zio. È che con tutte queste chiacchiere sugli uomini-lucertola ci siamo lasciati condizionare e abbiamo seguito le piste più difficili. Perdonaci!» e su quest’ultima parola scoppiarono di nuovo in lacrime.
«Non fa niente. Non vi preoccupate!» disse Paperino, imbarazzato.
Ad ogni modo, tutto è bene quel che finisce bene. Anzi, quel che inizia!
Eh, sì! perché quella giornata non poteva cominciare meglio di così: l’abbraccio coi nipotini; un sostanzioso pranzo (due giorni di digiuno sono troppi per una persona normale, figuriamoci per il capace stomaco di Paperino); ma soprattutto la splendida notizia della partenza di Angus, tornato a Paperopoli deluso per non aver trovato connessioni tra le sparizioni e PK ("Ma è mai possibile che dietro ogni losca storia lui ci veda me?" si chiese Paperino).
L’unica nota stonata era un certo senso di inquietudine che stava tornando a galla (evidentemente l’effetto del neurosoppressore stava cessando. "Meglio così!" si disse "Nessuno deve mai privarci delle nostre sensazioni, anche se spiacevoli come la paura.").
Non poteva comunque dargli molto peso. Ora aveva un compito da svolgere.
«Buongiorno, Professore!» si costrinse a dire con voce allegra entrando nella tenda-ospedale «Come si sente?»
«Non credo che siamo stati ancora presentati» rispose gelido Fairfax «comunque sto bene, grazie. Cosa vuole?»
«Chi le dice che io voglia qualcosa da lei?»
«L’esperienza, giovanotto!» disse tagliente «Nessuno che non ti conosca si interessa a te senza un secondo fine.»
«Beh! È molto cinica e riduttiva questa sua considerazione. Comunque ha ragione, sto cercando qualcosa, e lei forse può darmi una mano.» "E poi, ci conosciamo più di quanto pensi!" disse tra sé e sé.
«Il tubo?» ghignò Fairfax.
Paperino strabuzzò gli occhi.
«Vedo che ho colto nel segno. Beh, è arrivato troppo tardi! Un... diciamo gentile signore (e il ghigno si trasformò in una smorfia di rabbia) con metodi molto persuasivi (e il ricordo volò all’enorme mano stretta a pugno con quel grosso anello che si avvicinava sempre più al suo naso) ha già provveduto a prelevare quell’aggeggio maledetto. E ora, se vuole scusarmi, ho bisogno di riposo.» e si immerse nelle coperte.
Paperino si alzò e uscì dalla tenda, trascinandosi come un sacco, senza forze e completamente attonito per la notizia appena ricevuta, che si era abbattuta su di lui peggio del colpo ricevuto dal lucertolone.
«Come è possibile?» si tormentava «Chi è stato? Come faceva a conoscere l’esistenza del vettore? Come ha fatto a...»
«Ehi, Socio, ci sei?». Era Uno.
Estrasse la sfera dalla giubba.
«Ti sento forte e chiaro. Cosa c’è?»
«È meglio che tu vada a Ocopoli con la massima urgenza!»
«Ocopoli?! E che ci vado a fare, scusa?»
«Il CRISS. È stato attaccato due ore fa.»
«Cosa? Il Centro Ricerche e Studi Spaziali? Attaccato!? In pieno giorno?»
«Già! E la cosa strana è che gli assalitori non hanno lasciato tracce!»
«Evroniani?»
«Impossibile, l’attacco non è stato condotto nel loro stile. Inoltre il Centro è stato colpito dal sottosuolo, non dall’aria.»
Un campanello d’allarme risuonò nella testa di Paperino, ed immagini confuse di cunicoli di roccia si accavallarono nella sua mente.
«Sarò lì tra poco!»
E corse verso la giungla, dove la Pikar era nascosta. Ai nipotini lasciò un biglietto:
"MI DISPIACE, RAGAZZI, MA DEVO TORNARE A CASA. PURTROPPO LO ZIONE MI VUOLE AL PIÙ PRESTO A PAPEROPOLI PER UN LAVORO URGENTE. SPERO DI TORNARE PRIMA DELLA PREMIAZIONE. A PRESTO!".

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CAP VII - Potere e Potenza!

Ocopoli era una città blindata. Mezzi militari sfrecciavano sulle strade in ogni direzione, e il cielo pullulava di elicotteri da combattimento. Dal centro della metropoli, lì dove si trovava il CRISS, si ergeva una colonna di denso fumo nero.
PK ebbe non poche difficoltà a schivare tutte le pattuglie, ma alla fine trovò un nascondiglio sicuro per la Pikar e poté continuare a piedi.
Esternamente il Centro era intatto, e il fumo era prodotto da strani macchinari (portati sicuramente lì dai militari per simulare un’esplosione chimica e far sgomberare il centro abitato).
Entrò da un condotto d’areazione.
«Da questo momento sei tu i miei occhi, Uno!»
«Non preoccuparti, Socio!» lo rassicurò l’intelligenza artificiale «Continua in questa direzione per altri venti metri. Giunto allo snodo 2-A vai a destra. Vai sempre dritto e dopo un po’ troverai una grata. Forzala. Ti troverai nella stanza attigua alla camera dove c’è stata l’intrusione.»
PK non ebbe difficoltà ad eseguire le istruzioni. Ora il problema era allontanare le guardie dalla stanza accanto. Uno ebbe un’idea.
«Socchiudi la porta e poggia la sfera ai suoi piedi, quindi allontanati.»
Fatto questo, dalla sfera partì un raggio che materializzò un ologramma tridimensionale che cominciò a correre nel corridoio. Quando videro quella figura, le guardie lasciarono la loro posizione e scattarono all’inseguimento.
«Idea geniale, Uno!»
«Oh, solo routine, Socio!»
La camera dove si era verificato l’attacco era un laboratorio. Era praticamente intatta, se si escludeva un grosso buco nel pavimento e una teca rotta. Questa era circondata da diverse braccia meccaniche e strumenti di raccolta ed elaborazione dati. Nessuna traccia di scontri.
«Che è successo qui?» chiese PK.
«È quello che sto cercando di capire... Ecco, la raccolta dati è completa. Meglio filarsela! Ormai l’ologramma avrà perso la sua densità strutturale e le guardie staranno ritornando.»
«Hai ragione, usciamo da q...»
«Non così in fretta, civile!»
Ed il calcio di un M16 si abbatté su PK, tramortendolo. "E due!" fu il suo ultimo pensiero cosciente...
«Potente Zargon, ecco il vettore!» disse il rettile.
«Bravo Rarrkr! Con questa magnifica azione hai cancellato il tuo precedente fallimento. Ora, nessuno potrà più fermarci, NESSUNO!».

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CAP. VIII - Terribile segreto

Quando PK riaprì gli occhi, gli sembrò di rivedere una scena già vissuta. L’unica differenza erano l’ambientazione e i comprimari.
«Bentornato tra noi.» disse un omaccione in divisa. Dai gradi PK capì che si trattava di un Generale. «Spero che il Caporale Dwight non le abbia fatto troppo male. Sa, è un tipo molto solerte.»
«Se mi avesse bombardato mi avrebbe causato meno danni.» bofonchiò Paperinik.
Il militare si lasciò andare ad una risata sguaiata, e l’atmosfera si rilassò.
«Sa, devo dire che è un tipo dalle mille risorse. Dopo quanto successo in Africa pensavo fosse morto, e così non è stato, ed ora è riuscito a penetrare in uno dei posti più sorvegliati di questo pianeta senza alcuno sforzo apparente. Ha mai pensato ad una carriera nell’esercito? Un tipo come lei ci sarebbe molto utile.»
«Qual è il punto?» tagliò corto PK.
«Bene, è anche un tipo pratico! Mi piace sempre di più. Dunque, da dove posso cominciare? Beh, partirò dal principio. Sarà una discussione un po’ lunga, quindi le consiglio di mettersi comodo. Io sono il Generale Wisecube e sono a capo di una speciale divisione dell’esercito preposta alla sorveglianza delle attività degli evroniani sul nostro pianeta. Tempo fa essi ci contattarono dicendo che venivano in pace e che volevano portarci benessere e prosperità. Il tipico biglietto da visita di chi si presenta per rifilarti una fregatura. Fingemmo di credergli e di stare dalla loro parte, ma parallelamente investigavamo e seguivamo i loro spostamenti, e fu così che risalimmo alle loro vere intenzioni. Scoprimmo che nel deserto a cento miglia da Paperopoli avevano impiantato una specie di coltivazione piena di strani bozzoli che, se incisi, emettono una sostanza molto velenosa e corrosiva.»
«Le spore. Le conosco molto bene.»
«Già, immaginavo. Comunque, durante uno degli scontri con gli evroniani per la distruzione di queste spore, riuscimmo a catturare uno dei loro. Sfruttando la somiglianza con la razza papera, abbiamo "mascherato" un agente e siamo riusciti ad infiltrarlo su una delle loro navi. Per mesi non abbiamo avuto sue notizie, e pensavamo fosse stato catturato. Poi, dieci giorni fa, la svolta. Ci inviò un messaggio in cui comunicava che un loro incrociatore stava facendo rotta sulla Terra per cercare un fantomatico "vettore". Inizialmente non sapevamo molto, ma ulteriori messaggi ci chiarirono il quadro. Sembra che questo "vettore" non sia altro che il contenitore di una qualche sostanza mutagena che ha permesso di accelerare i tempi dell’evoluzione dei terrestri dalle forme primitive a quelle presenti. È chiaro che questa sostanza è molto pericolosa, soprattutto per quanto gli studi che abbiamo condotto su di essa ci hanno rivelato.»
«Dunque l’avete voi il vettore!»
«Già! Almeno prima che qualcuno riuscisse a portarcelo via. Comunque, anche se incompleti, gli studi hanno portato alla luce risultati terrificanti. Vede, se è vero che la sostanza, allo stato normale, può accelerare la velocità di evoluzione fino a cento volte, se la stessa sostanza viene posta a contatto con un particolare tipo di roccia per un tempo abbastanza lungo, e le polveri portate dall’asteroide in cui il vettore è rimasto sepolto per milioni di anni sono appunto di quel tipo, le sue proprietà si invertono, fino ad arrivare ad un punto critico per cui non solo la sostanza blocca l’evoluzione, ma addirittura la fa regredire. Il problema è che, per come sono configurate le cellule dei nostri organismi, esse possono sono procedere in un unico senso dell’evoluzione; quindi se oggi noi introducessimo nell’atmosfera terrestre quella sostanza, l’unico risultato ottenibile sarebbe la completa estinzione della vita sulla Terra.»
PK rimase ammutolito. Anche Uno, nel piano segreto della Ducklair Tower, per un solo istante ebbe un blocco dei circuiti.
«Vedo che questa prospettiva non la alletta. A essere sincero neanche a me. Sono troppo attaccato alla mia pesca domenicale per accettare quest’ipotesi."
«Ma se sapete tutto questo, perché non intervenite?»
«C’è un solo problema. Non abbiamo la minima idea di chi abbia preso il vettore. Abbiamo cercato di penetrare nel tunnel da cui sono sbucati gli attaccanti, ma dopo appena tre metri esso è chiuso dalla roccia. Lo scandaglio ha dimostrato che è stato chiuso per almeno duecento metri. Non c’è che dire, un lavoro di fino...»
«D’accordo Generale, cosa vuole da me?»
«Mi sembra chiaro: la sua, anzi, tua collaborazione!»
«E in cosa posso esservi utile?»
«Io non posso ordinare una mobilitazione generale dell’esercito per ovvi problemi di ordine pubblico. Se la notizia trapelasse, sarebbe il caos, e noi non avremmo più possibilità di manovra. D’altronde, gli uomini che ho adesso non mi bastano e purtroppo sembra che gli evroniani stiano per prepararsi per qualcosa di grosso. Non posso dividere le già esigue forze su due fronti, perciò ti chiedo di ritrovare il vettore per noi, e di distruggerlo, mentre noi respingeremo l’attacco degli evroniani. Allora, posso contare su di te?»
«Certo Generale!»
«Un’ultima cosa!»
«Sì?»
«Purtroppo le sollecitazioni a cui è stata sottoposta la sostanza in questi giorni ha innescato il processo di attivazione.»
«E allora?»
«Allora se entro due ore il vettore e il suo contenuto non saranno distrutti, questo possiamo anche considerarlo un addio.»
Uscito dal Centro, PK si allontanò in direzione del Messico a massima velocità con la sua Pikar, pensando che niente di peggio sarebbe potuto accadere. E fu proprio in quel momento che si scatenò l’inferno.

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CAP. IX - Ora X

Un boato spezzò il cielo: tre shuttle d’invasione evroniani con centinaia di dischi al seguito comparvero all’improvviso sull’area del CRISS. Migliaia di baluginanti raggi proiettati dalle Evrongun facevano da sfondo alle raffiche di mitra sparate dai soldati in un disperato tentativo di difesa. L’attacco alieno era stato troppo improvviso per poter avere un’adeguata risposta. Già una decina di militari giacevano a terra coolflamizzati prima che i difensori riuscissero ad organizzare un contrattacco coerente. Wisecube, uscito in assetto da combattimento, ordinò di intensificare l’emissione del fumo. "Saremo ciechi," pensò "ma loro saranno nelle nostre stesse condizioni.".
Quindi fece disporre rapidamente i suoi su due fronti: uno più esposto lungo la parete di nord-est del Centro, da dove erano sbucati gli invasori, in una posizione più scoperta; il secondo al riparo tra i grossi grattaceli dell’Ocopoli’s World Fair Center, antistanti il piazzale del Centro davanti il muro di nord-ovest.
Diradatasi la cortina di fumo, gli attaccanti scorsero solo il primo fronte (esattamente ciò che voleva Wisecube) e si avventarono su di esso come serpenti sulla preda. Fu in quel momento che, ad un ordine secco e imperioso del Generale, il secondo fronte, appoggiato dagli elicotteri, fece il suo ingresso sulla scena, riversando sul nemico un volume di fuoco spaventoso.
Gli alieni, presi in contropiede e in attesa di istruzioni dai comandanti di spedizione, si trovarono incastrati in un tiro incrociato che lasciò loro poco scampo. Nel frattempo gli elicotteri si lanciarono all’inseguimento degli shuttle, che cercavano di guadagnare una posizione a loro più favorevole da cui riorganizzare le forze, e ne abbatterono due, costringendo l’ultimo ad una vergognosa quanto rapida ritirata. In tutto tornarono alla base uno shuttle e ventinove dei centodieci dischi attaccanti.
«Uno strepitoso successo ragazzi! Bravissimi!» gridò Wisecube, e tre "Hip, hip, urrà!" risuonarono tra le macerie del centro di Ocopoli.
"Ora tocca a te, PK. Non ci deludere!" fu il pensiero del Generale che, rivolgendosi ai suoi, ordinò perentorio: «Ed ora basta riposarsi sugli allori! Vediamo di mettere a posto questo casino prima che i civili tornino nelle loro abitazioni!». "E anche stavolta dovremo inventarci un sacco di balle per la stampa" fu il suo commento ironico.
Intanto PK, ignaro degli avvenimenti che accadevano alle sue spalle, era ormai in vista della Baia di Campeche. Uno, durante il breve viaggio, lo aveva aggiornato sulle conclusioni a cui era arrivato analizzando i dati raccolti nel laboratorio del CRISS: «Dalle analisi effettuate sull’impronta di energia biologica lasciata dall’intruso, risulta chiaro che questi deve appartenere alla specie dei rettili.»
La notizia non meravigliò affatto Paperinik.
«Inoltre,» continuò Uno «sulle pareti del tunnel scavato ho trovato tracce di residui mesonici...»
«E allora?» chiese PK.
«E allora questo non premette niente di buono. I mesoni sono particelle subnucleari accelerate a velocità prossime a quelle della luce, il cui effetto dirompente è micidiale. Credo che questo tipo di raggio sia stato emesso da una di quelle Evrongun modificate di cui ti ha parlato Zargon.»
«Ma lui ha detto che la tecnologia l’ha presa dalle fabbriche terrestri. Come ha potuto costruire quegli aggeggi infernali con del comune ferro e dei pezzi di rame?»
«Se anche tu, come lui, consideri il Centro Ricerche Sperimentale della NASA per i nuovi materiali e la Divisione Ricerche Armi Nucleari del Pentagono come semplici fabbriche...»
«Cosa? E perché non è stata data notizia di questi furti?»
«Come la prenderesti tu se qualcuno ti dicesse che si sono fregati l’unico prototipo esistente di acceleratore di particelle elementari esistente su questo pianeta?»
«Capisco, la politica dell’oscurantismo: "Meno la gente sa, più contenta è!"»
«Già, ed anch’io sono riuscito a trovare informazioni su questi furti solo cinque ore fa, dopo che l’analisi effettuata nel laboratorio mi aveva insospettito. Per trovare pochi sintetici rapporti sulle intrusioni alla NASA e al Pentagono ho... come dite?... ah, sì! Sudato sette camicie.»
«Grazie come sempre, Uno. Beh, se questo è tutto, è meglio preparare un piano per...»
«Un momento, Socio! Queste erano le buone notizie!»
«Che???»
«Purtroppo ho riscontrato che quel tipo di raggio mesonico è in grado di attaccare e fondere anche il metallo densomorfico di Padron Ducklair, per cui...»
«Continua.»
«L’extransformer sarà praticamente inutile. Dopo il primo colpo sarà inservibile.»
«Insomma diventerà un mucchio di rottami!»
«Se preferisci metterla così...»
«Allora ne farò a meno, anche perché là sotto potrebbe ingombrarmi. Me la caverò con il mio disintegratore laser, come ai vecchi tempi.»
«Immaginavo che avresti agito così, perciò ho modificato la sfera in modo che crei un controcampo magnetico per annullare gli effetti dello scudo energetico che la volta scorsa ti impedì di usare il tuo laser. L’unico inconveniente è che non potremo più comunicare attraverso la sfera.»
«Uno, sei insostituibile!»
«Grazie. E buona fortuna!» gli augurò Uno.
«Ne avrò bisogno!» lo ringraziò PK. E sperò che quello non fosse il loro ultimo saluto.

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CAP. X - Aiuto insperato

«Capo-branca Gorthan, Capo-branca Gorthan!»
«Cosa c’è, Zantar?»
«Il diversivo è stato un successo! Abbiamo distolto l’attenzione dei terrestri dal nostro vero obiettivo. Ora stiamo seguendo Paperinik. Al più presto troveremo il vettore ed il ribelle Zargon!»
«E allora imparerà a temere la vendetta di Evron!»
"Ma guarda un po’!" pensò PK "La grotta di Puncas! L’accesso al regno sotterraneo dei lucertoloni. E l’ho avuto sotto il naso per parecchio tempo senza accorgermene!".
Entrò nella caverna e di lì si infilò in un cunicolo usando sempre molta circospezione ma cercando al contempo di procedere il più speditamente possibile. Mancavano infatti solo un’ora e tredici minuti all’ora X.
Dopo circa quindici minuti di lenta avanzata tra anfratti adatti al passaggio dei soli topi e discese per dirupi senza fondo («La prossima volta non userò più le scorciatoie!» rimbrottò) si infilò in una delle gallerie secondarie. Stranamente, non v’era traccia di nemici.
"Saranno a cena.". Provò a tirarsi su il morale con questo pensiero ma l’immagine che gli evocò, cioè quella di fauci che si chiudevano sui dei poveri paperi indifesi, gli provocò l’effetto contrario.
Chissà poi perché...
Dopo più di tre quarti d’ora di avanzata tra quelle gallerie tutte uguali (un paio di volte sbagliò addirittura strada e si ritrovò in dei vicoli ciechi) giunse finalmente dinanzi al grande arco con il portone decorato oltre cui c’era la grande sala con il trono di Zargon, e lì incontrò due problemi. Il primo era più che altro un fastidio: infatti la guardia all’entrata fu messa fuori gioco abbastanza rapidamente e soprattutto senza rumore, tranne uno strano "SBONK!" ("Però!" pensò PK "Questa sfera è utile anche come palla da baseball."), che fu scambiato dagli astanti nella sala come una semplice eco, come ce n’erano tante in quelle caverne. Rimaneva l’ostacolo un filino più difficile: come liberarsi dei circa mille bestioni che gremivano l’enorme salone? Si guardò nella mano destra. No, decisamente la sfera non sarebbe stata di nessun aiuto in questo caso, e sparare con il laser che aveva energia sufficiente per circa dieci colpi era fuori discussione. Aveva sottostimato le forze che doveva fronteggiare, e forse avrebbe pagato caro quell’errore.
Nell’incertezza sul da farsi guardò l’orologio. Mancavano ora solo cinque minuti! (Solo a livello inconscio PK registrò una strana vibrazione nelle pareti accompagnata da un sibilo crescente.)
Zargon stava gridando, tra le ovazioni dei lucertoloni: «...ed ora, miei prodi, è ora di emergere alla luce per riprendere ciò che è nostro di diritto: la libertà e il POTERE!»
Decisamente non c’era più tempo da perdere. Pur senza alcuna possibilità di salvare le penne, si catapultò nella sala sperando di centrare quel maledetto vettore con la sua pistola a raggi prima che quelle graziose bestioline lo facessero letteralmente a pezzi.
Non ebbe neanche il tempo di sparare un solo colpo. La guardia si era già ripresa dalla botta e aveva bloccato Paperinik che, scalciando e dimenandosi come un toro nel tentativo di liberarsi, fu privato della sfera e del laser e quindi condotto dinanzi a Zargon. Questi disse in tono sprezzante: «Ah! Il grande PK. In due volte che ci incontriamo, ti vedo sempre strisciare ai miei piedi! È un’abitudine che sta cominciando a piacermi. Dico sul serio!»
«Strano che ti piacciano tanto i vermi,» ribatté tagliente Paperinik «visto che è l’unica compagnia che hai qui sotto.»
Ma Zargon non accusò il colpo: «È proprio per questo che ora conquisteremo anche la superficie, spazzando via il tuo ridicolo popolo! E tutto questo avverrà esattamente tra...» consultò la strana scritta sul vettore che si era accesa e cambiava colore col trascorrere del tempo, come se fosse un timer per il conto alla rovescia «due minuti esatti. Saluta pure il tuo caro pianetucolo, perché tra un po’ non lo vedr...»
Con un gran boato una delle pareti della sala si polverizzò e migliaia di tonnellate di roccia seppellirono molti dinosauri, senza lasciar loro via di scampo. Centinaia di dischi individuali si riversarono nel salone. I capisquadra si scambiarono brevi e precise istruzioni e i guerrieri aprirono il fuoco con dei disgregatori ai bosoni.
Dopo il primo attimo di smarrimento, Rarrkr ordinò ai suoi di ripiegare nelle caverne, dove i dischi avrebbero avuto più difficoltà di manovra, quindi comandò di rispondere all’attacco.
La scena si dipinse di sfavillanti raggi gialli e verdi che saettavano per ogni dove, e Zargon, incredulo per quanto era successo, era l’unico essere immobile in quel caleidoscopio di luci ed esplosioni.
PK approfittò del momento per saltare addosso all’evroniano per tentare di strappargli di mano il vettore
(meno cinquantuno)
ma fu anticipato da un guerriero di Evron. Mentre questi tentava di guadagnare l’apertura da cui erano entrate le forze d’invasione fu colpito, e lui ed il suo disco precipitarono rovinosamente al suolo.
PK non capì esattamente
(meno trentasette)
cosa stesse accadendo; fatto sta che si ritrovò davanti una figura familiare: «Tu sei... come ti chiami... Trilr!»
«Non c’è tempo per i convenevoli! Salta su quel disco (ed indicò il mezzo di trasporto dell’evroniano abbattuto) e vola via di qui il più fretta possibile!»
«Non posso! Il vettore...»
«Ci penserò io. Abbi solo cura di usare questo (e gli porse il suo disintegratore mesonico) sull’apertura quando sarai fuori!»
«Ma così rimarrai intrappolata qua sotto quando
(meno ventidue)
il vettore si attiverà!»
«Avrei dovuto fermarli tempo fa, ora purtroppo questa è l’unica soluzione. Addio, Paperinik!»
«Addio, Trilr.»
PK sfrecciò attraverso la galleria scavata dagli
(meno tredici)
evroniani e, una volta fuori, la richiuse con l’arma datagli dal dinosauro (o "dinosaura"? Ma ormai non aveva più importanza. Sapeva solo di aver perso un nuovo amico), chiudendo così il sarcofago di una bara rimasta aperta per 65 milioni di anni.
Intanto, sulla nave di Gorthan: «Meno quattro... tre... due... uno... processo avviato. Capo-branca! Il vettore si è innescato, ma dalle letture dei sensori sembra che il suo raggio d’azione sia limitato ad una sacca nel sottosuolo.»
"Un altro fallimento..." fu il pensiero di Gorthan mentre dava l’ordine di allontanarsi dall’orbita terrestre.
«Allora Socio, come ci si sente ad aver salvato il mondo?» scherzò Uno.
«Come Uno... finito sotto lo schiacciasassi!» rispose PK, scoppiando a ridere e lasciando che tutta la tensione accumulata in quei giorni fluisse via.
L’intelligenza artificiale non colse il senso della battuta.
«Vedo che hai perso la tua pistola a raggi e la MIA sferetta!» disse con tono di sberleffo.
«Già, ma in compenso ho qui per te un souvenir che troverai di tuo gradimento.» e ripose il disintegratore mesonico nel cassetto analizzatore della Pikar. «Ora spero solo di non dover più sentir parlare di quel pazzo di Zargon!»
«A proposito di pazzi, cosa ci faceva il Professor Fairfax da quelle parti?»
PK non rispose, ormai immerso in ben altri pensieri.

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CAP. XI - Ancora un’alba...

«Salve ragazzi!» esordì Paperino «sono ancora in tempo per la cerimonia?»
«Zio!» gioirono i nipotini «Bentornato! Certo che sei ancora in tempo! La premiazione avverrà solo tra due ore. Hai tutto il tempo per prepararti!»
Alle dieci esatte di quella sera Paperino e i suoi adorati Qui, Quo, Qua entrarono come ospiti d’onore nella tenda dove si sarebbe svolta la premiazione.
Anche se la cerimonia fu piuttosto breve, la festa durò per tutta la notte con canti, balli e scherzi tra le GM, con i paperini che andavano fieri della nuova coccarda e pieni dell’altezzosità di chi sa di essere guardato con invidia dai suoi coetanei. Fu una serata indimenticabile per tutti, soprattutto per i suoi nipotini, e Paperino ne fu felicissimo.
Finite le danze, ognuno si avviò verso il proprio giaciglio per dormire il sonno del giusto.
Sulla soglia della loro tenda, Qui disse agli altri: «Guardate! L’alba!»
E tutti furono catturati dalla tenue luce rosa che abbracciava sofficemente loro ed il cielo, come se in quel momento l’Universo intero fosse un tutt’uno.
I piccoli riuscirono solo a pronunciare un «Ooohhhhh!» estasiato. Il giorno dopo avrebbero dimenticato quello spettacolo.
Paperino invece l’avrebbe portato sempre con sé. Solo lui, infatti, sapeva quanto il popolo terrestre fosse stato vicino a non veder più un nuovo giorno.
Alzò gli occhi al cielo e, mentre una lacrima gli solcava il viso, sussurrò: «Grazie, Trilr.».


AUTORE: FRANCESCO "NUTELLA" PALAGIANO - 1997

I PERSONAGGI RIPORTATI NEL RACCONTO SONO REGISTRATI DALLA WALT DISNEY TRANNE I PERSONAGGI DI RARRKR E TRILR.
NON SONO CONSENTITE MODIFICHE ALLA STORIA (IN TUTTO O IN PARTE) O LA SUA DIFFUSIONE ALL’ESTERNO DELLA MAILING LIST ALL’INDIRIZZO PKERS@EDU-GW.DIA.UNISA.IT SENZA ESPLICITO CONSENSO DELL’AUTORE.

L’AUTORE RINGRAZIA:

  • ALESSANDRO BIANCO E GLI ALTRI OWNER DELLA ML PER AVER CONCESSO A TUTTI LO SPAZIO PER LE PROPRIE IDEE
  • MARCO BARILI PER IL SUO COSTANTE APPORTO DI CONSIGLI PER MIGLIORARE IL TESTO
  • ANDREA BERTANI PER LA PUBBLICAZIONE DELLA STORIA SUL SUO SITO DEDICATO A PK
  • TUTTI COLORO CHE HANNO LETTO QUESTA STORIA.

L’AUTORE INVITA TUTTI A SCRIVERGLI PER COMMENTI, CRITICHE E CONSIGLI. INDIRIZZO: maverick@gedy.it


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